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Leggende canti e tradizioni

Il mondo dei Walser è pieno di misteriose presenze soprannaturali: folletti curiosi, tesori nascosti tra le montagne e protetti da spiriti minacciosi, uomini selvatici, processioni di morti e diavoli vendicativi.

I Walser si vantavano di saper leggere i destini nei fatti della vita quotidiana, avevano una cultura magica variegata e anelavano alla libertà di pensiero, venerando le proprie origini, in un vorticoso universo di leggende e favole e storie vere, che animavano le lunghe serate invernali e che si sono mantenute fino ad oggi grazie all’isolamento in cui i Walser sono vissuti per circa un millennio.

La leggenda del “Sasso del diavolo”- Der “Prebet stai”

Quando a Gressoney si fabbricava la Chiesa parrocchiale, il diavolo ebbe un eccesso di rabbia e decise di distruggere quanto della chiesa già si era fabbricato. A tal fine cercò il più gran masso che trovò al col d’Olen con l’intenzione di spingerlo su Gressoney. Giunto in prossimità del colle, quando ormai la tragedia si approssimava, si fermò a riposare un po’ ma in quel momento lo avvicinò un angelo del Signore, che gli comandò di lasciare la pietra. Il diavolo affaticato, in un eccesso di rabbia e bestemmiando (ndr: in tedesco prebet) colpì il pietrone con un pugno che cominciò a rotolare verso Alagna lungo la valle dell’Olen per fermarsi a circa metà strada tra il colle e Pianalunga. Li il sasso è ancora oggi, e mostra una evidente spaccatura annerita su un lato, testimonianza del pugno accompagnato dalle fiamme dell’inferno.

La leggenda della processione di morti

La sera del due novembre, dal fondo dei burroni, dal letto dei torrenti, dai cimiteri delle valli del Monte Rosa, si levano i morti e si mettono in cammino verso la loro montagna. Ogni scheletro ha il dito mignolo infuocato, e quel lumicino lo guida nel cammino. Se incontrano un uomo vivo lo fermano, lo fanno cavaliere, gli consentono di esprimere un desiderio e gli donano una bacchetta per dirigere la processione, così che la folla dietro a lui possa procedere rapidamente e superare ogni difficoltà. Se incontrano un burrone od un torrente, la più colpevole tra le anime dipartire si fa innanzi, allunga le braccia e le gambe fino a raggiungere la sponda opposta, facendosi ponte per gli altri. Quando le sue mani toccano l’altra riva la fila dei morti passa sullo scheletro scricchiolante e attende il passaggio della schiera. La processione raggiunge i ghiacciai prima dell’alba e lì, in penitenza, espiano i loro peccati picchiettando il ghiacciaio con degli spilli e il suono si diffonde nelle valli. I valligiani da sempre porgono orecchio la notte del 2 novembre alle montagne e a quel suono rabbrividiscono.

La leggenda della valle perduta

E’ la più famosa leggenda walser che parla di un luogo sereno e felice dove la segale cresce rigogliosa e l’erba non ingiallisce, al di là dei ghiacciai, la cui esistenza è certa ma la ricerca vana. E’ il mito della patria lontana. Per cercarla nel 1778 sette giovani di Gressoney scalarono il Monte Rosa raggiungendo il Colle del Lys. Nell’aria rarefatta dell’altitudine, aggrappati ad una roccia emergente dai ghiacci, videro lontano una valle verdeggiante, era la valle di Zermatt e tornarono a valle certi di aver finalmente avvistato la valle perduta. Da allora lo sperone roccioso in prossimità del colle del Lys si chiama Entdeckungsfeld ovvero Roccia della Scoperta.

Il battesimo

Il battesimo avveniva sempre in un giorno festivo con le campane che suonavano a distesa. Per ogni bambino c’erano un padrino, una madrina anziana e una giovane madrina portatrice. Il padrino e la madrina erano gli effettivi testimoni del sacramento. Anticamente la madrina portatrice era una ragazza con grembiule bianco, che portava il bambino fin davanti la chiesa. Il bimbo stava in una culla appoggiata sul capo della ragazza, che usava un fazzoletto annodato ad anello per renderla stabile. Davanti alla porta della chiesa posava a terra la culla. Quando arrivava il parroco con i chierichetti, che reggevano i ceri accesi, la madrina, vicina al padrino, toglieva il neonato dalla culla e lo depositava tra le braccia della giovane portatrice, quindi il prete metteva la sua stola sul cuore del bambino e la madrina anziana vi poggiava la mano destra finché il parroco non l’aveva benedetto. Al termine della benedizione i presenti entravano in chiesa. Nel battistero il parroco metteva del sale in bocca al bimbo e gli versava l’acqua Santa sul capo mentre pronunciava il nome scelto.

Il falò dell’ultimo giorno di Carnevale

Alla sera, al cader delle prime ombre, i ragazzi accendevano sulle varie alture del paese, quasi a fargli corona, tanti piccoli falò accompagnati da canti e dai caratteristici richiami (huru). I fuochi erano chiamati “Ave Marie” perché venivano accesi quando la campana della chiesa suonava gli ultimi rintocchi dell’Ave Maria. Quando le lunghe fiamme si alzavano verso il cielo, i giovani danzavano attorno al falò, cantavano e gridavano per farsi sentire dalle altre frazioni che rispondevano con lo stesso richiamo

Riti della Morte

I Walser si vantavano di possedere la capacità di percepire la morte prossima di una persona attraverso particolari segnali, ad esempio il sentir gocciolare in casa senza che fuori piovesse, la volpe che ululava o attraversava la strada volgendo il capo, piccoli turbini di vento che, mentre l’aria intorno era tranquilla, sollevavano in alto fieno o neve. Ma sul letto di morte poi erano molto più pragmatici, di fronte all’agonia, avevano pronta una preghiera.

Preghiera dell’agonia

“O Uomo metto la luce nella tua mano affinché oggi ti assista la buona sorte, potrebbe anche esserti avversa. Io ti raccomando al buon San Giuseppe, al buon Santo Stefano, al buon San Michele affinché portino la tua anima nell’immensità del paradiso. Alla Messa eterna e all’incontro santo con Dio in cielo, dove il Signore canta e parla. Non spaventarti, non bussare, la porta ti verrà aperta, troverai tre strade, come fosse una: una bianca, una rossa, la terza rossa dorata, e quella imboccherai e tutte le cose in nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo Amen.”

Dopo la dipartita, il ciclo delle manifestazione funebri seguiva un preciso rituale: subito dopo la morte parenti e vicini si radunavano per pregare nella casa del defunto. La notte precedente il funerale ogni nucleo famigliare inviava un proprio rappresentante alla veglia funebre, durante la quale si distribuivano ai partecipanti pane formaggio e vino e si aspettava insieme il mattino tra ricordi e chiacchiere. Il giorno del funerale, il morto, chiuso nella cassa, veniva trasportato a spalle fino al cimitero e al termine della funzione si distribuiva una razione di riso per ogni famiglia presente, con lo scopo di ricordare ai beneficiati di suffragare le anime dei defunti. Dopo la sepoltura seguiva un banchetto funebre

La finestrella dell’anima

Un’usanza walser molto particolare era quella relativa alla “finestra dell’anima”(seelaballga o seelenbalggen). Si tratta di una piccola apertura costruita nella parete della stube che veniva aperta alla morte di un famigliare per liberarne l’anima diretta verso i ghiacciai del Monte Rosa a purgare i peccati commessi in vita. La finestra veniva poi richiusa subito dopo affinché l’anima non trovasse la via del ritorno.

Inno dei Walser

Molti e molti secoli fa
Sono andati oltre i passi in terre straniere
Hanno abbandonato la valle natia
E si sono stabiliti in posti lontano
Però le tradizioni e il sangue dei Walser
Si conservano bene nella terra straniera.

Non si sa perché la gente Walser
Sia andata così lontano
Hanno dovuto migrare o hanno voluto andare,
Chi oggi lo riesce più a capire?
Però le tradizioni e il sangue dei Walser
Si conservano bene nella terra straniera.

I pensieri sono liberi

I pensieri sono liberi I pensieri sono liberi, chi mai può indovinarli? Passano in un sussurro, come ombre notturne, nessuno li può conoscere nessun cacciatore può ucciderli, è così: i pensieri sono liberi. Io penso quello che voglio e quello che mi piace ma in silenzio come si conviene; i miei desideri e i miei sogni nessuno può impedirli così è, i pensieri sono liberi. Chiudetemi pure nel carcere oscuro. È opera vana. I miei pensieri spezzano le barriere, passano i muri. I pensieri sono liberi Voglio per sempre rinunciare all’amore, non voglio mai più tormentarmi con malinconia ciascuno può in cuor suo ridere e scherzare e pensare; i pensieri sono liberi Io amo il vino; la mia ragazza soprattutto Lei, soprattutto, mi piace Io non sono mai solo con un bicchiere di vino e la mia ragazza vicino. I pensiero sono liberi.

Tesorino

Tesorino vieni qui Io ti offro il caffé
E anche un litro di birra
Per dormire con te.
Ne caffé ne birra
Tu paghi per me
Perché io ugualmente dormirò vicino a te
Io sono tanto felice
Se tu dormirai vicino a me
Che pago ugualmente Il caffé e la birra

Il cacciatore

C’era una volta un cacciatore che cacciava con un arco d’oro andava a caccia la tutta la mattina da quando spuntava il sole Iohei! — Oh madre oh cara madre Dammi tu un buon consiglio Devo accettare il cacciatore O devo lasciarlo perdere? Iohei! — Oh figlia o cara figlia Il consiglio che ti do: lascia andare a caccia il cacciatore accetta il figlio del castellano. Iohei! — Oh madre, o cara madre Il tuo consiglio non mi piace Mi è molto più caro il cacciatore Che tutto il castello e le terre. Iohei! — Se ti è più caro il cacciatore Che tutto il castello e le terre Allora lega i tuoi vestiti insieme E vattene lontano con lui. Oh madre oh cara madre Di vestiti io non ne ho molti Datemi duecento talleri che compro ciò che voglio. Iohei! — Oh figlia oh cara figlia Talleri, io non ne ho molti Tuo padre ha dissipato tutto Nel bere e nel gioco. Iohei! — Se mio padre ha dissipato tutto nel bere e nel gioco io ringrazio il buon Dio di essere una ragazza. Iohei! — Un cacciatore andava a caccia Con un arco d’oro Egli cacciava tutta la mattina Fin dal sorgere del sole Iohei!

Recapiti

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